Irene Bertucci personal blog

1apr/100

La questione del modello delle pensioni

Economia pubblica Nell’U.E. e negli Stati Uniti l’invecchiamento delle popolazioni e l’abbassamento, negli anni 2000, del tasso medio di crescita del prodotto nazionale e della base economica imponibile per finanziare le pensioni, sono i motivi che inducono molti autori ad affermare che i modelli a ripartizione (PAYG) non possono più mantenere le tradizionali promesse di pagare pensioni prossime alle retribuzioni lavorative.
Si auspica pertanto il passaggio (o ritorno) a modelli a capitalizzazione che permettono agli attivi di fondare i consumi desiderati della terza età, sui risparmi accumulati nell’età lavorativa. Tuttavia, quando la tutela copre la quasi totalità della popolazione e i pagamenti ai pensionati comportano un flusso di redditi tra il 10% e il 20% del prodotto nazionale, qualsiasi modello pensionistico deve affrontare le scelte reali della distribuzione delle risorse tra attivi e pensionati (ed altre categorie). L’invecchiamento delle popolazioni tende a generare nuova conflittualità sulla distribuzione del reddito soprattutto se esso cresce lentamente, e quindi inflazione e instabilità politico-sociale. Diviene pertanto cruciale per la scelta tra i due modelli o di una combinazione tra essi, valutare i loro effetti sulla crescita dell’economia. La tesi che il modello a “due pilastri” è superiore perché permette di diversificare il rischio “politico” della ripartizione e quello “finanziario” della capitalizzazione non pare convincente. La futura stabilità economica e politica dei sistemi pensionistici, sia a ripartizione sia a capitalizzazione o a “due pilastri”, può essere assicurata soltanto dalla crescita della produttività e del reddito nazionale tale che la sua distribuzione possa soddisfare le attese sia degli attivi sia della quota crescente dei pensionati.

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